Pac

PAC
La PAC appartiene alla sfera di competenza esclusiva della Comunità, è una pietra miliare della costruzione comunitaria e la discussione su di essa può essere considerata un barometro dello stato dell’arte della Comunità.

Ai sensi dell’articolo 33 del trattato che istituisce la Comunità europea (ex articolo 39 del Trattato di Roma, firmato nel 1957), la PAC si prefigge di:
a) incrementare la produttività dell’agricoltura, sviluppando il progresso tecnico, assicurando lo sviluppo razionale della produzione agricola come pure un impiego migliore dei fattori di produzione, in particolare della manodopera,
b) assicurare così un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in particolare al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano nell’agricoltura,
c) stabilizzare i mercati,
d) garantire la sicurezza degli approvvigionamenti,
e) assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori.

Per raggiungere tali obiettivi l’art. 34 prevede la creazione di una organizzazione comune dei mercati agricoli (OCM) che si fondano sul rispetto dei principi della PAC:
1. dell’unicità dei mercati agricoli,
2. della solidarietà finanziaria e
3. della preferenza comunitaria.

Un commento CISA (volante) agli obiettivi all’articolo 33 (ex articolo 39)

Il punto a) è quello che esplicita l’impronta produttivistica della PAC delle origini, secondo la via maestra dell’industrializzazione dell’agricoltura; non dimentichiamoci che siamo alla fine degli anni 50’ e nei primi anni 60’. Oggi, quegli stessi punti possono essere reinterpretati in chiave sostenibile (con un po’ di equilibrismo cultural-politico), ma è sicuramente datata la costruzione dell’articolo: produttività, sviluppo razionale, impiego migliore dei fattori di produzione, sono concetti che andrebbero collocati in una cornice diversa dove assumono un significato diverso da quello avuto fino a ieri[1] ; forse la cornice dovrebbe essere quella dell’agroecologia, o del “save and grow[2]”?!. è una discussione aperta nel CISA. Dentro il CISA ci sono movimenti che hanno sempre criticato la scelta produttivistica/industrializzata, quindi organizzazioni professionali (sindacali) che ne hanno co-gestito diverse fasi(sarebbe interessante discuterne in una chiave storica che aiuta a guardare al futuro) fino a maturare l’esigenza di differenziarsi da quel modello che, nel contesto della globalizzazione, diventava sempre più unilaterale, monopolizzante e tendente al gigantesco. Questo, sul modello di sviluppo agricolo e agroalimentare, è un confronto che nasce nell’area più agricola-ruralista del CISA, compresa la cooperazione allo sviluppo, e coinvolge tutte le sue componenti. Per una minima completezza dell’informazione, dobbiamo dire che fino a ieri l’establishment agricolo del nostro Paese ha considerato “vera agricoltura” quella sviluppatasi con la PAC (grande azienda, monocultura, ecc …), mentre il resto “antico” erano cascami del passato che sopravvivevano, il resto “nuovo” era etichettato come “hobbistico”; punto forte di questo discorso le 300.000 aziende (il decile eminente) che producevano il 70/80% di quanto andava alla trasformazione industriale. Molti membri del CISA sanno come questo confronto fra “modelli di agricoltura”, con il relativo tentativo di scalfire l’egemonia di quello industrializzato subordinato prima all’industria di trasformazione, poi alla GDO, quindi a tutti i grandi soggetti a monte e a valle della produzione agricola, sia importante a livello internazionale per l’obiettivo della “sovranità alimentare”.

Il punto b) è quello che ancora oggi giustificherebbe la prima componente dei pagamenti diretti disegnati da Ciolos, cioè quello di base, fissa e omogenea per tutti, che sarebbe una sorta di “premio per l’esistenza”. Un sostegno al reddito che, in quanto tale, dovrebbe avere un tetto massimo. La giustificazione di questa componente riposa sui dati che dimostrano come il reddito medio agricolo sia ancora più basso di quelli degli altri settori; in poche parole, questo è un obiettivo che la PAC non ha raggiunto e quindi sopravvive ….

I punti d) ed e) sono quelli che aprono il confronto a moltissime della realtà del CISA e ai cittadini/consumatori (cioè tutti) in genere: come perseguirli per un consumo informato e responsabile? Come perseguirli di fronte alle sfide delle 3F (Food, Feed, Fuel) e agli oltre 9 miliardi di abitanti del 2050 ? A loro aggiungiamo anche il punto c), perché con gli effetti della speculazione finanziaria sui prodotti agricoli, questo punto è ridiventato scottante e problematico, interconnesso agli altri.

I principi della PAC in soldoni.

1. significa che i mercati agricoli nazionali entrano in un unico mercato agricolo comunitario togliendo le barriere doganali nazionali tra i Paesi membri; 2.significa che nel far fronte agli esborsi finanziari per le misure della PAC non si guarda a quanto ha versato un Paese alle casse comunitarie; di conseguenza, abbiamo Paesi che sono “debitori netti” e altri che sono “contributori netti”, anche sulla sola PAC (differenza tra prelievi alla frontiera su prodotti agricoli extra UE decisi dalla Comunità e versati alla Comunità, con i finanziamenti ricevuti dalla PAC). Ad esempio, nel biennio 2007/09 per la sola PAC erano “contributori netti” in ordine decrescente: Germania, Italia, UK, Paesi Bassi, Belgio,…, mentre erano “debitori netti” sempre in ordine decrescente: Grecia, Spagna, Polonia, Irlanda e Francia (la Francia diventa “contributore netto” aggiungendo le altre voci della spesa UE, come: coesione, competitività, …), Portogallo, Ungheria,…; 3. sono le misure doganali (di ogni tipo) della Comunità rispetto ai Paesi extracomunitari; ovviamente, nella misura in cui sono significative e incisive delineano una “preferenza comunitaria”, nella misura in cui vengono abrogate (liberalizzazione) la “preferenza comunitaria” diventa sempre più irrilevante. Un breve commento: di fronte allo sfilacciamento del “sentire comunitario” a cui assistiamo, senza indagare in questo contesto dove si annidano le cause, una politica che ha la solidarietà finanziaria tra i Paesi membri, un mercato unico e la preferenza comunitaria (mi rendo conto che questa è più discutibile …, perlomeno nelle realizzazioni, come anche le regole per il mercato unico) è quasi un monumento vivente (o sopravissuto) a ciò che si potrebbe fare e non si in Europa.

ARRIVANDO AI NOSTRI GIORNI

Ancora oggi la PAC è una delle più importanti politiche dell’Unione Europea, le spese agricole rappresentano circa il 45% del bilancio comunitario. La sua elaborazione è soggetta alla procedura decisionale che prevede la maggioranza qualificata in sede di Consiglio e la consultazione del Parlamento europeo.

Inizialmente la PAC ha permesso alla Comunità di raggiungere rapidamente l’autosufficienza, ma con l’andare del tempo il suo funzionamento è diventato sempre più costoso a causa della sovrapproduzione (cereali, latte, carne, ecc..) e del livello eccessivo dei prezzi europei rispetto a quelli del mercato mondiale. Tra la fine degli anni 70’ e l’inizio degli anni 80’ scoppiò la guerra delle eccedenze commerciali agricole sui mercati internazionali tra UE e USA a suon di sovvenzioni alle esportazioni (UE) e di agevolazioni creditizie agli esportatori (USA) che permisero di esportare in dumping. Una guerra che fece danni nei Pvs: mise in crisi esportatori ormai affermati come Argentina, Brasile, Indonesia, ma soprattutto, rese inutile lo sviluppo agricolo nei Pvs importatori netti di alimenti che da allora confideranno sempre più nel mercato internazionale per approvvigionarsi, situazione che in seguito avrebbero pagato a caro prezzo (vedi le vite umane nella crisi 2007/08).

La riforma Mac Sharry del 1992 cercò di correggere la situazione secondo la cultura politica del momento (eravamo nella fase crescente del neoliberismo internazionale e delle liberalizzazioni e si stava preparando l’accordo GATT dell’Uruguay Round, 1994), cioè mediante una riduzione dei prezzi agricoli garantiti (in passato, nel CISA abbiamo a lungo discusso su prezzi garantiti e sostegno al reddito), compensata da pagamenti compensativi legati ai fattori di produzione (la Superficie Agricola Utilizzata-SAU, il numero dei capi di bestiame, ecc..) e dall’istituzione di misure dette “di accompagnamento”. Va ricordato che, nonostante i cambiamenti successivi, ancora oggi abbiamo un Pagamento Unico Aziendale (PUA) che fa riferimento alla compensazione del 1992… Poi, ci fu la riforma del 1999, basata su Agenda 2000, che consolidò le modifiche apportate nel 1992 e individuò quali obiettivi prioritari la sicurezza dei prodotti alimentari, la difesa dell’ambiente e la promozione di un’agricoltura sostenibile; è opinione diffusa nel CISA che con Agenda 2000 aumentò la distanza tra obiettivi indicati che guardavano avanti e strumenti utilizzati prigionieri del passato. Gli obiettivi che non rientravano nella politica di mercato furono riuniti nello sviluppo rurale, che diventò il secondo pilastro della PAC. Inoltre, la riforma si prefiggeva l’aumento della competitività dei prodotti agricoli comunitari, la semplificazione della legislazione agricola e della sua applicazione, il rafforzamento della posizione dell’Unione nell’ambito dei negoziati dell’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC) e la stabilizzazione della spesa. A tal fine fu decisa un ulteriore riduzione dei prezzi di intervento, compensata dall’aumento degli aiuti agli agricoltori. L’ultima riforma del giugno 2003, detta anche riforma Fischler, comportò i seguenti elementi: la semplificazione delle misure di sostegno del mercato e degli aiuti diretti, mediante il disaccoppiamento dalla produzione dei pagamenti diretti agli agricoltori (altro elemento di discussione nel mondo agricolo e nel CISA); il rafforzamento dello sviluppo rurale mediante il trasferimento di fondi dal primo pilastro della PAC allo sviluppo rurale attraverso la modulazione; un meccanismo di disciplina finanziaria (limitazione delle spese di sostegno al mercato e degli aiuti diretti tra il 2007 e il 2013).

Nel 2004 è stato varato un secondo pacchetto di misure: la riforma degli aiuti ai prodotti mediterranei (tabacco, luppolo, cotone e olio d’oliva), seguito nel 2006 dalla riforma dell’organizzazione comune di mercato (OCM) dello zucchero e nel 2007-8 dalle riforme delle organizzazioni comuni di mercato “dell’ortofrutta e del vino.”

Adesso, con la Riforma PAC da completare entro il 2013, sembriamo essere giunti al dunque di quello che è stato definito un processo di “riforma continua” della PAC il cui inizio si fa risalire alla Riforma Mc Sharry del 1992, anche se le prime avvisaglie di cambiamento senza cambiare la sostanza (si voleva mettere sotto controllo la spesa della PAC senza toccarne i principi e il funzionamento) risalgono al 1984, quando, tra l’altro, si intrudessero le famose “quote latte”. Il primo atto è stata la comunicazione di Ciolos (Commissario UE all’agricoltura) dal titolo: “La PAC verso il 2020: rispondere alle future sfide dell’alimentazione, delle risorse naturali e del territorio” del novembre 2010.